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Read MoreNon seguo più il calcio da tanti anni, per me era diventato un po’ come vedere un’incontro di wrestling, scontato e falso.
Questo non significa che le notizie e i “rumors” di quel mondo non mi arrivino comunque: infatti oggi prendo spunto proprio da una cosa che sta succedendo per scrivere queste parole.
Nel mondo del calcio le tematiche emotive e di appartenenza sono qualcosa di molto forte, sia tra i tifosi che tra i giocatori: al di là di quel gruppo nutrito di giocatori che sono emigrati nei paesi arabi a suon di “petroldollari”, il panorama calcistico è costellato di storie di giocatori che rimangono legati alla maglia negli anni, diventando poi punto di riferimento per i tifosi, che sentono ancor più forte quell’attaccamento.
E i tifosi, si sa, sono ciò di cui tutta la “macchina” ha bisogno.
Il calcio è nel tempo diventato sempre più un business, con tutte le sue dinamiche, nel bene e nel male: questo però non significa che quegli elementi di emotività non siano rimasti forti, anzi, forse ancora di più sono ciò che tiene il tifoso legato a prescindere dalle proprietà che si susseguono, dai soldi che girano e da tutti gli interessi nascosti che di certo ci sono.
Quindi? Di cosa ti voglio parlare di preciso?
In questi giorni si parla tanto del Milan e dello scarso attaccamento dei giocatori e soprattutto di questa mancanza di disciplina e rispetto per l’allenatore e, più in generale, per l’autorità.
E si sprecano gli interventi di chi spara a zero su questo e su quello… come al solito.
Ma facciamo un passo indietro.
Ci ricordiamo tutti cosa è successo con Maldini?
Ci ricordiamo tutti di come questa società si sia sbarazzata frettolosamente e in malo modo di quello che si può in assoluto definire uno dei simboli (a proposito di legami emotivi) non solo del Milan ma anche del calcio italiano?
E ora ci stupiamo del comportamento dei giocatori.
Ma siamo sicuri che questi giocatori si fidino di questa proprietà?
Siamo sicuri che non abbiano capito di essere solamente delle pedine e ora non agiscano di conseguenza?
Il mio intento non è parlare di calcio.
Questa è solo una storia, una metafora.
Perché nelle aziende funziona allo stesso modo: e ultimamente forse ancora di più.
É sempre colpa dell’allenatore, o del giocatore, magari del magazziniere…
Ma spesso i primi a non mettersi in discussione, a non farsi le domande giuste o a non scendere mai dal piedistallo dell’accusatore sono proprio i dirigenti e la proprietà.
Che magari non si ricordano nemmeno di quell’azione o di quella frase che, magari lentamente, ha acceso la miccia del malcontento in azienda…
So che la mia può sembrare una vana polemica.
Purtroppo però è spessissimo la reale descrizione di tante realtà aziendali.
Lo vedo spesso, in molto ambiti e settori.
La buona notizia è che non è sempre così.
E l’altra buona notizia è che si può evitare.
Come?
Facendosi le domande giuste.
E capendo in primis che queste domande passano spesso dalla sfera emotiva.
Che magari fa paura affrontare, ma che se usata bene può essere il più grande collante per tenere una persona valida a lavorare con te.
Come è successo ad un certo Francesco Totti, che rifiutò i (tanti) milioni del Real Madrid per restare nella squadra della sua città.
Andrea
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Read MoreInfatti come Energy Coach aiuto Persone e Aziende a Vincere le loro Sfide, tramite strategie mentali quotidiane.
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